Una delle più significative battaglie che l’Associazione Italiana Calciatori, sotto la guida dell’attuale Presidente Damiano Tommasi, sta combattendo è senza dubbio quella per la “revisione” (se non addirittura per l’abolizione) del vincolo sportivo in ambito dilettantistico, istituto certamente tra i più controversi nel sistema del diritto sportivo interno.
Occorre, innanzitutto, premettere che il vincolo sportivo è il legame che, in conseguenza del tesseramento, si crea tra calciatore e società, in forza del quale l’atleta si obbliga a svolgere la propria attività agonistica esclusivamente in favore del club con cui si tessera.
Se in ambito professionistico tale istituto non comporta alcuna problematica (essendo, già a partire dai primi anni ’80, strettamente dipendente dalla durata del contratto di prestazione sportiva sottoscritto dal giocatore), altrettanto non può dirsi per ciò che concerne i calciatori non professionisti (trasversalmente intesi), i quali, molto spesso, non sono nemmeno consapevoli, all’atto del tesseramento, di quali siano gli effetti giuridici da esso derivanti.
Urge, dunque, fare un po’ di chiarezza avendo particolare riguardo non solo all’impianto normativo dettato sul punto dalle Norme Organizzative Interne della FIGC (N.O.I.F.), ma anche alla giurisprudenza dei Tribunali ordinari che più volte si sono pronunciati sull’argomento.
PROFILI NORMATIVI – Sul piano legislativo, è doveroso, in primis, sottolineare che fino al compimento del quattordicesimo anno di età ogni tesseramento sottoscritto dall’atleta (per il tramite degli esercenti la responsabilità genitoriale) – tanto con club appartenenti alla Lega dilettanti, quanto con società professionistiche – ha una durata necessariamente annuale. Ne deriva che, in tali casi, il calciatore beneficia di uno “svincolo” automatico al termine della corrispondente stagione (ossia il 30 giugno di ogni anno).
La questione si complica per i tesseramenti contratti successivamente al compimento dei 14 anni da parte del calciatore, in relazione ai quali è necessario distinguere tra diverse ipotesi.
A partire da tale data, ogni tesseramento con un club del settore professionistico, comporta, infatti, un vincolo sportivo del calciatore (che assume lo status di “Giovane di Serie”) inderogabilmente pluriennale, il quale – a meno che non intervenga nel mentre la stipulazione del contratto di prestazione sportiva con la società – è destinato a durare (compreso l’anno del c.d. “pre-contratto”) fino al termine della stagione sportiva che inizia nell’anno in cui il giocatore compie anagraficamente il diciannovesimo anno d’età (art. 33, c. 2 N.O.I.F.).
In tale arco temporale, quindi, il giocatore può “liberarsi” dal legame con la società di appartenenza solamente su iniziativa di quest’ultima (c.d. “svincolo per rinuncia” ai sensi dell’art. 107 N.O.I.F.), oppure nell’improbabile caso in cui la stessa non si iscriva al campionato di competenza della relativa prima squara, ne venga esclusa, vi rinunci o subisca la revoca dell’affiliazione presso la F.I.G.C. (c.d. “svincolo per inattività della società” ai sensi dell’art. 110 N.O.I.F.).
Per dovere di completezza, è opportuno sottolineare che se il club – al termine del menzionato periodo in cui il giocatore mantiene lo status di “Giovane di Serie” – non intendesse esercitare il diritto potestativo di sottoporre al medesimo un contratto, costui, a partire dalla successiva stagione si troverebbe parimenti svincolato.
In ambito dilettantistico la situazione è sensibilmente differente.
Innanzitutto, va sottolineato che nel periodo compreso tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno d’età il calciatore dilettante mantiene la possibilità di continuare a tesserarsi solo annualmente con la società, essendo la costituzione di un vincolo pluriennale, in tale biennio, solamente facoltativa.
Laddove, tuttavia, ciò non accadesse – come spesso purtroppo avviene all’insaputa dello stesso atleta e della sua famiglia – ed il calciatore finisse, quindi, col tesserarsi “pluriennalmente” con la società di appartenenza, il relativo vincolo sportivo, ai sensi dell’art. art. 32 N.O.I.F., è destinato a protrarsi fino al termine della stagione in cui il calciatore compie 25 anni. In questi termini, il calciatore acquisisce lo status di “Giovane Dilettante”, il quale è destinato a mutare automaticamente in “Non Professionista” non appena il medesimo diventa maggiore d’età.
Si tratta, in buona sostanza, di una sorta di “mezzo ergastolo sportivo” dal momento che il giocatore fino all’età di 25 anni (talvolta, a seconda della data di nascita, quasi 26) si trova pressoché del tutto impossibilitato a trasferirsi in altra società senza il consenso di quella con cui è tesserato, fatto salvo l’avverarsi di circostanze di difficile realizzazione.
Al “Giovane Dilettante” ed al “Non Professionista”, infatti, è consentito di svincolarsi – in aggiunta alle due tipologie sopra esposte – solamente al ricorrere dei seguenti presupposti: a) raggiungimento di un espresso accordo con la società (art. 108 N.O.I.F.); b) sottoscrizione di un contratto da professionista (art. 113 N.O.I.F.); c) cambio di residenza (art. 111 N.O.I.F.); d) mancata partecipazione ad almeno quattro gare ufficiali durante la stagione sportiva (art. 109 N.O.I.F.).
Per comprendere l’effettiva portata di tali previsioni, è, tuttavia, necessario svolgere un adeguato approfondimento sull’operatività (anche in ambito pratico) delle stesse.
Se lo “svincolo per accordo” non pone particolari problemi – se non quello di trovare una società disposta a sottoscriverlo (talvolta dietro l’illegittima corresponsione di somme di denaro) –, lo “svincolo per stipulazione di contratto da professionista” non è di così facile realizzazione, dal momento che è in grado di produrre i suoi effetti senza il consenso della società unicamente nel caso in cui lo stesso venga sottoscritto dall’atleta nel periodo compreso tra il primo ed il 31 luglio di ogni anno. Al di fuori di tale forbice temporale, infatti, il consenso della società di appartenenza ritorna ad essere imprescindibile.
Un ulteriore limite, sul punto, è poi rappresentato dall’ammontare del premio ex art. 99 N.O.I.F che la società professionistica sarebbe tenuta a versare (in caso di primo contratto professionistico dell’atleta) al club dilettantistico in forza di tale svincolo. La relativa somma (che va da un minimo di 16.000 € ad un massimo di 93.000 € a seconda dell’età del giocatore e della categoria di appartenenza della società di destinazione) rappresenta, il più delle volte, un limite invalicabile alla conclusione di una siffatta operazione.
Per ciò che invece concerne lo “svincolo per cambio di residenza”, lo stesso richiede, innanzitutto, che il trasferimento avvenga in comune di altra regione e di provincia non limitrofa rispetto a quella in cui ha sede la società. In secondo luogo, l’effetto “liberatorio” si produce unicamente trascorso un anno solare dal cambio, termine che viene ridotto a 90 giorni se a trasferirsi è un minore insieme al proprio nucleo familiare.
Per quanto, infine, riguarda lo “svincolo per inattività del calciatore” deve chiarirsi che la predetta mancata partecipazione, durante la stagione, ad almeno 4 gare ufficiali non deve essere imputabile al calciatore, così come non deve dipendere dal mancato conseguimento dell’apposita idoneità medico-sportiva.
PROFILI GIURISPRUDENZIALI – A fronte di un tale sistema legislativo, numerosi dilettanti si sono quindi rivolti – per provare a sottrarsi agli stringenti limiti esposti – alla giustizia ordinaria.
Le pronunce sul punto sono varie e si fondano su presupposti giuridici tra loro (molto) differenti.
Una delle principali argomentazioni che ha trovato, in passato, accoglimento in sede giurisdizionale attiene alla natura giuridica del “vincolo sportivo”. Dovendosi quest’ultimo considerare come atto di straordinaria amministrazione, la sua stipulazione – da parte di un minorenne – dovrebbe, per essere ritenuta valida, necessariamente venir autorizzata dal Giudice Tutelare. Una tale impostazione, non priva di pregio giuridico, incontra tuttavia un drastico limite “pratico”, dal momento che risulterebbe, di fatto, del tutto impossibile pretendere l’intervento di detto Giudice in relazione ad ogni tesseramento calcistico di un minore d’età.
Anche in ragione di ciò, la magistratura ordinaria ha iniziato a fondare le proprie pronunce costitutive di svincolo su profili giuridici di diverso tipo, più attinenti ai principi generali del diritto.
In una decisione del 2010, il Tribunale di Saluzzo ha, ad esempio, ordinato lo svincolo del calciatore ritenendo che il vincolo sportivo si ponga in aperto ed insanabile contrasto con l’art. 2 della Costituzione, il quale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Su tali presupposti, il Giudice ha, pertanto, concluso che “non vi è dubbio che si debba ritenere al limite della costituzionalità e della legittimità la volontà di conservare d’autorità il cartellino [N.d.R. il tesseramento] di un giocatore dilettante e privo quindi di un contratto professionistico”.
Con sentenza del 31 ottobre 2011, il Tribunale di Perugia è giunto, invece, a decretare lo svincolo in virtù dell’art. 18 della Costituzione (diritto di associazione). Secondo il Giudice, infatti, il principio del libero associazionismo sancito dalla disposizione di rango costituzionale comprende inevitabilmente anche l’opposta facoltà di terminare l’adesione ad una associazione. Contrariamente a ciò, l’istituto del vincolo sportivo impedisce all’atleta di “dissociarsi” dal club di appartenenza, al quale dovrebbe quindi rimanere legato “a vita”.
Un’ultima (in ordine di tempo) rilevante decisione emanata dal Tribunale di Verbania il 14 aprile 2015 ha posto poi l’accento su argomentazioni ancora diverse.
In questo caso è convinzione del Giudice che il vincolo pluriennale apposto al tesseramento ai sensi dell’art. 32 N.O.I.F. vada qualificato come radicalmente nullo ex art. 1418 c.c. “in quanto non presenta alcuna causa in concreto meritevole di tutela”.
Per giungere a tali conclusioni il Tribunale muove dal paragone con il tesseramento del calciatore professionista. In tale ultima ipotesi, infatti, il vincolo del giocatore alla società deriva dalla conclusione di un contratto di lavoro a prestazioni corrispettive in forza del quale il club si assicura l’attività sportiva del calciatore (per la sola durata dell’accordo) a fronte di una remunerazione salariale dello stesso.
In ambito dilettantistico, invece, oltre a mancare la componente della retribuzione economica in capo al giocatore, non sarebbero nemmeno ravvisabili per il medesimo “ulteriori interessi di carattere anche non patrimoniale che non possano già essere tutelati adeguatamente attraverso la previsione del tesseramento annuale previsto dall’art. 31 delle NOIF”.
Su tali basi, dunque, il vincolo pluriennale del dilettante “soddisfa il solo interesse della società … la quale ha la possibilità di patrimonializzare il suo tesserato fino al venticinquesimo anno d’età sperando di poter lucrare fino ad allora, una cessione del giocatore a sé favorevole”.
Secondo la pronuncia in esame, infine, non sarebbe solamente l’esposto “sbilanciamento” a rilevare (sul piano della mancanza di causa). L’invalidità della stipulazione di un vincolo pluriennale riguarderebbe, infatti, anche il requisito del consenso dal momento che, dovendosi ritenere il citato art. 32 N.O.I.F. clausola vessatoria, il relativo modulo dovrebbe, da un lato contenere il riferimento alla durata del vincolo (per permetterne almeno la conoscibilità) e, dall’altro lato, prevedere una doppia sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c..
Giova, inoltre, ricordare che, nei casi in cui l’illegittimità del vincolo pluriennale venga accolta, ne consegue – a prescindere dal fondamento giuridico posta alla base della motivazione – un diritto dell’atleta di pretendere la restituzione delle somme eventualmente sborsate in precedenza alla società per ottenere uno “svincolo consensuale”.
In conclusione, non possono sottacersi le criticità connesse alla scelta di adire la magistratura ordinaria per la tutela dei propri interessi.
Da un lato, infatti – sebbene pare debba ritenersi ammissibile la possibilità di utilizzare il ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. – il rischio attiene al fatto che, il più delle volte, le tempistiche richieste siano tali da vanificare gli effetti del provvedimento richiesto. Dall’altro lato, esiste la possibilità che il Giudice si pronunci sulla propria incompetenza a conoscere della controversia in quanto rientrante nel novero delle attribuzioni riservate alle istituzioni sportive.
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